Resta in carcere Antonio Fratianni, imprenditore edile foggiano di 56 anni fermato il 2 agosto scorso al confine con Trieste perché accusato del duplice tentato omicidio del boss della "società" foggiana Antonello Francavilla e del figlio 15enne avvenuto la mattina del 2 marzo scorso nell'abitazione di Nettuno dove il capo mafia stava scontando gli arresti domiciliari per estorsione aggravata. Il Gip del tribunale di Velletri, competente per territorio, ha accolto la richiesta della Dda di Roma che contesta a Fratianni l'aggravante della premeditazione e della mafiosità per due motivi: il metodo utilizzato e la causale dell'agguato riconducibile a contrasti all'interno della mafia foggiana nella quale viene ritenuto «orbitante» lo stesso Fratianni considerato una «testa di legno asservita agli interessi del clan e collettore di somme di provenienza illecita del sodalizio mafioso». Dopo il fermo disposto dalla Dda di Roma era stato il Gip di Trieste a convalidarlo, escludendo la sussistenza dell'aggravante della mafiosità e trasmettendo gli atti per competenza al collega di Velletri che invece ha ritenuto sussistente l'aggravante, ragion per cui a sua volta si è spogliato dell'inchiesta ed ha trasmesso gli atti al Gip di Roma.
La ricostruzione
Secondo l'accusa Fratianni la mattina del 2 marzo si recò a casa di Francavilla, con il quale si conosce da tempo, e quando quest'ultimo si voltò per preparargli un caffè gli sparò ferendolo al petto.