Descalzi: «Sicurezza energetica, Puglia regione strategica»

Descalzi: «Sicurezza energetica, Puglia regione strategica»
di Paola ANCORA
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Domenica 15 Ottobre 2023, 05:00

Le strategie di approvvigionamento energetico, la sfida della transizione, il futuro di una società, Eni, che nei giorni scorsi ha compiuto 70 anni e che amministra dal 2014. Claudio Descalzi è stato ospite nei giorni scorsi della due giorni di convegno organizzata al Castello Carlo V di Lecce da “Cultura Italiae”. 


La vostra strategia si proponeva di raggiungere emissioni nette pari a zero al 2050, con una produzione di idrocarburi molto minore rispetto ad oggi e decarbonizzata o compensata, e con assoluta prevalenza delle energie naturali. Poi è scoppiata la guerra russo-ucraina, l’Europa si è scoperta fragile dal punto di vista della sicurezza energetica. Ora conferma quella prospettiva o bisogna correggere la rotta?
«Il nostro percorso, che non nasce recentemente ma quasi dieci anni fa, è stato costruito sulla base di un dovuto bilanciamento tra sostenibilità ambientale, e quindi abbattimento delle emissioni, sicurezza degli approvvigionamenti e accessibilità economica all’energia. In questi anni abbiamo lanciato i nostri business dedicati alla transizione: dalle rinnovabili, nelle quali siamo passati da zero agli attuali 2,5 Gigawatt di potenza installata, alla produzione di biocarburanti, con l’avvio di un’integrazione tra le nostre bioraffinerie e le nostre produzioni di materie prime naturali negli agri-hub situati prevalentemente in Africa (produrremo oltre 3 milioni di tonnellate di biocarburanti all’anno al 2025 e oltre 5 milioni di tonnellate al 2030), fino ad arrivare ai nostri progetti per la cattura e stoccaggio della CO2, finalizzati ad abbattere le emissioni dei settori hard to abate (difficile da abbattere, ndr) e che stiamo implementando in Gran Bretagna, in Italia a Ravenna, in Libia, e ai quali stiamo lavorando in Egitto, Australia ed Emirati Arabi Uniti. Nel contempo, però, nell’ambito delle nostre produzioni di idrocarburi abbiamo spostato il focus sul gas, la più pulita tra le fonti tradizionali, concentrandoci sul gas che noi stessi produciamo nei Paesi in cui operiamo. Un approccio che richiede un lavoro di relazione e manutenzione contrattuale molto complesso, ma che ci ha consentito di poter pianificare lo scorso anno la completa sostituzione delle forniture russe in tre inverni».


I rigassificatori sono parte della strategia italiana ed europea per garantirci quella sicurezza. Bisogna continuare? E se sì a quali condizioni?
«In seguito all’invasione russa dell’Ucraina e al taglio drastico delle forniture di gas all’Europa e all’Italia, come Eni abbiamo pianificato la sostituzione in tre inverni di circa 21 miliardi di metri cubi di gas russo che avevamo in portafoglio. Per farlo, abbiamo puntato innanzitutto sul gas algerino, trasportato via gasdotto, per circa 9 miliardi di metri cubi all’anno addizionali da raggiungere nel corso dei tre inverni; ma le restanti quantità aggiuntive sono quasi completamente basate sul Gnl, che per essere messo in rete deve essere rigassificato. La capacità di rigassificazione che avevamo prima della crisi non era sufficiente per accogliere questi volumi aggiuntivi, occorreva integrarla. E naturalmente per avere abbondanza di offerta rispetto alla domanda e per essere pronti rispetto a eventuali ulteriori ammanchi che potrebbero derivare da ragioni tecniche o, purtroppo, da problemi di tipo geopolitico, occorrono ulteriori infrastrutture, sia rigassificatori che capacità di trasporto nazionale via tubo. Perché in presenza di un equilibrio tirato tra offerta e domanda, soprattutto in un mercato globale sempre più basato sul Gnl, basta una qualsiasi piccola restrizione all’offerta in qualsiasi parte geografica significativa per il mercato per innescare aumenti anche importanti nei prezzi, con conseguenze inflattive a danno di imprese e famiglie».


Anche alla luce della crisi drammatica in corso in Medio Oriente e alle incognite che questa porta con sé, come risponde a chi sostiene che siamo passati dalla dipendenza dalla Russia all’affidarci a Paesi che potrebbero rivelare instabilità politica e, in qualche caso, non democratici?
«Rispondo che abbiamo sostituito un fornitore, via tubo, di gas non nostro, come lo era la Russia, con un pluralità di fornitori, un ruolo crescente della flessibilità data dal Gnl e gas di nostra produzione, che arriva da Paesi come Algeria, Egitto, Angola, Congo. Abbiamo trasformato la crisi in una opportunità per migliorare la nostra posizione. Eni opera da decenni nei Paesi in questione, con loro ha sempre utilizzato un approccio volto a promuovere lo sviluppo locale, destinando buona parte dell’energia che produce localmente ai loro stessi mercati, avviando progetti legati alla formazione, alla salute, all’agricoltura, alla scuola.

Credo che siano alleanze come queste, unite a continui stimoli allo sviluppo socio-economico, ad abbassare le probabilità che sistemi politici storicamente diversi dai nostri possano trasformarsi in qualcosa di pericoloso, destabilizzato o destabilizzante».


Il fianco scoperto dell’Europa sulla sicurezza energetica ha fatto sì che il processo di transizione subisse una battuta d’arresto. C’è qualcosa che, a suo avviso, andrebbe cambiata nel piano europeo per la transizione energetica?
«A mio avviso il tema da affrontare non è quello degli obiettivi di decarbonizzazione che l’Unione si pone, che sono molto ambiziosi e fanno da stimolo per affrontare una sfida che è imprescindibile ed epocale. La questione è che, laddove si è stabilito che entro il 2050 si dovranno raggiungere le zero emissioni, non si può anche imporre le iniziative e le tecnologie per arrivare all’obiettivo. La transizione energetica va vista come un grande e complesso mosaico nel quale ogni tessera è un Paese, un’impresa, una famiglia da decarbonizzare. E ciascuna di queste realtà ha un sistema diverso, una diversa capacità economica, una storia energetica e uno status tecnologico differenti. Ognuno deve potere arrivare al risultato a seconda dei vincoli e dei mezzi che ha a disposizione. Se noi iniziamo a dire no alla Ccs perché allungherebbe la vita agli idrocarburi, come faccio a decarbonizzare le imprese hard to abate in un breve e medio termine? Se dico di no ai biocarburanti perché non li reputo carbon neutral, quando attualmente arrivano ad abbattere le emissioni fino al 90% rispetto ai carburanti di origine fossile, come faccio ad accompagnare la diffusione dell’auto elettrica nel trasporto leggero con un qualcosa che già tagli le emissioni? Senza contare poi la rilevanza dei biocarburanti nel trasporto pesante, navale e aereo, dove l’elettrico non può comunque arrivare. Non esiste una soluzione unica, dobbiamo utilizzare tutte le tecnologie a nostra disposizione per arrivare a decarbonizzare tutti gli ambiti dei nostri sistemi economici e industriali».


Il Just Transition Fund ha Taranto come zona bersaglio. Un’occasione unica per l’industria italiana e per la Puglia. Tre errori da non commettere.
«Andare a supportare in modo mirato i territori che maggiormente avranno bisogno di aiuto per trasformare le realtà industriali che storicamente sono legate alle fonti tradizionali, significa andare a lavorare sulle specifiche tessere del mosaico di cui parlavamo. Il principio è sempre lo stesso, bisogna investire per progredire nel nuovo ma con equilibrio ed efficienza tali da non creare gravi problemi nella progressiva dismissione del vecchio: del resto, la stessa ripartizione delle risorse stabilita dal fondo si focalizza correttamente anche su diversificazione economica ed equilibrio occupazionale».


Rinnovabili. Siamo ancora indietro rispetto ad altri Paesi d’Europa. Cosa prevede Eni su questo fronte?
«Per quanto riguarda l’Italia, sicuramente siamo di fronte a un ritmo storico di installazione di capacità rinnovabile che deve aumentare, ma credo che il Pniec presentato a giugno dal Governo alla Commissione europea vada in questa direzione e includa un buon bilanciamento tra l’esigenza di sicurezza energetica e la necessaria spinta sullo sviluppo delle rinnovabili. Naturalmente per rispettare questi obiettivi occorrerà essere incisivi laddove è necessario sciogliere le difficoltà burocratiche e autorizzative, che sono il principale ostacolo, soprattutto a livello locale. Per quanto riguarda Eni, attraverso la nostra Plenitude stiamo proseguendo molto spediti sui nostri obiettivi: attualmente abbiamo circa 2,5 Gigawatt (GW) di capacità installata, con l’obiettivo di arrivare a oltre 7 GW nel 2026 e oltre 15 GW nel 2030».


Il Governo Meloni ha più volte indicato la Puglia come la regione destinata a diventare l’hub energetico del Paese nel “Piano Mattei” che intende portare avanti. Cosa significa? Quale ruolo potrebbe avere la regione?
«Il Piano Mattei è un progetto politico del nostro Governo, pertanto è corretto che siano le stesse istituzioni a illustrarne le linee quando lo riterranno opportuno. Posso dire che l’Italia ha una posizione geografica che le ha consentito storicamente di diversificare le proprie vie di approvvigionamento. E il Tap, con il suo approdo in Puglia, ha rappresentato un’ulteriore e più recente diversificazione: quindi la Regione riveste già un ruolo importante. Adesso poi saremo ancora più diversificati, grazie al lavoro di sostituzione del gas russo che stiamo portando avanti».

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