Facebook compie vent'anni: la rivoluzione a portata di post

Facebook compie vent'anni: la rivoluzione a portata di post
di Giuseppe ANDRIANI
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Domenica 4 Febbraio 2024, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 18:56

«Chi te l’ha detto?». «L’ho letto su Facebook». Per qualche anno - e in parte ancora oggi - il social network fondato esattamente vent’anni fa da Mark Zuckerberg è stato corollario di certezze, fonte di pettegolezzi e di informazione. Quel 4 febbraio 2004 quando l’allora ventenne Zuckerberg lanciò la piattaforma si rivolgeva ai soli studenti della sua università. È nato così, quasi per caso, uno strumento che ha cambiato la vita di tutti. Facebook è stato - e in parte lo resta ancora, seppur in alcuni aspetti soppiantato da Instagram, Twitter e TikTok - la piazza virtuale di ogni città. La grande occasione di tanti. Anche, in alcuni casi, uno strumento di disinformazione. In vent’anni il social network è cambiato, si è aggiornato, ha mutato anche la propria funzione: da strumento di dialogo tra giovani a piattaforma sulla quale oggi ci sono soprattutto over 35. Qualcuno dirà, maliziosamente, la casa virtuale dei boomer. 

La rivoluzione


La parola chiave è “rivoluzione”. Perché il social per eccellenza ha rivoluzionato la comunicazione aziendale e quella politica. Ha avvicinato gli utenti, ma secondo qualcuno ha anche allontanato le persone nel mondo “reale”. Ha reso ancor più famosi artisti che già erano in rampa di lancia: i 3,5 milioni di followers di Emma Marrone ne sono un esempio. E ancora: il gran seguito di Giuliano Sangiorgi, di Alessandra Amoroso. In quanti, invece, sono partiti da qui per scrivere la propria storia. Il caso scuola di Inchiostro di Puglia, la pagina Facebook diventata un marchio - con tanto di oggettistica varia in vendita e citazioni divenute ormai famose in tutta Italia -, è solo uno dei tanti esempi. È servita a far sentire meno soli tanti emigrati al Nord. Del resto i primi iscritti spesso cercavano vecchi compagni di scuola o commilitoni. 

I personaggi


Il primo Facebook, quello che una decina d’anni fa fece emergere comici e ragazzi di talento, era diverso da quello attuale, soprattutto nell’utilizzo comune. Come dimenticare il boom dei Nirkiop, il gruppo comico tarantino che creava irriverenti (e divertenti) video su Youtube che poi spopolavano sul social network. E i The Lesionati. E ancora Alessio Giannone, in arte Pinuccio, con le sue chiamate ai politici. Influencer anzi tempore. Alzi la mano, virtualmente (è chiaro), chi non si è mai iscritto al gruppo del proprio paese. “Sei di Bari se...”, ma anche “Sei di Giuggianello se...”. Ogni comune ha avuto la propria piazza virtuale. E quante amicizie rotte dopo uno scambio piccato di “stati”. Quegli “stati” che quindici anni fa si scrivevano in terza persona singolare. 
È cambiato tutto da quel febbraio 2004 in poi. La parola rivoluzione piace tanto anche a Giovanni Sasso, direttore creativo e socio fondatore di Proforma, un’istituzione nella comunicazione politica. «Abbiamo assistito, e continuiamo quotidianamente ad assistere a una vera e propria rivoluzione. All’inizio sembrava un mondo ideale - commenta -. La cosiddetta disintermediazione permetteva ai politici di parlare direttamente al proprio pubblico senza i faticosi compromessi a cui ti costringevano i rapporti con le testate giornalistiche e i media tradizionali. Ma quando il fenomeno è esploso, molti dei vantaggi dei social si sono trasformati in terrificanti distorsioni, fino ad arrivare ai giorni nostri: un panorama desolante, che non esiterei a definire distopico. La disintermediazione si è trasformata in una generalizzata e anarchica parcellizzazione delle fonti di informazione. Il pettegolo da bar e il vincitore di un Pulitzer si ritrovano sullo stesso livello perché non esiste più selezione alla fonte della “notizia”. A questo inquietante fenomeno si somma una distorsione nella percezione dei politici che spesso tendono a equiparare il numero di like al numero di voti (gravissimo errore). È così che da potenziali statisti finiscono per trasformarsi in veri e propri influencer, impegnati nella continua ricerca della battuta, del filmatino carino, della trovata che porta più cuoricini, invece di lavorare alle idee funzionali al governo di un Paese, di una Regione o di un Comune. Fenomeno spesso accentuato da molti di noi comunicatori, che nell’ansia di autodefinirsi guru, sacrificano le regole minime della nostra deontologia professionale sull’altare dei pollici all’insù».
Caccia all’influencer anche tra gli imprenditori. «Facebook ha avuto un enorme impatto sulle nostre vite - spiega Cristiano Carriero, fondatore di La Content e consulente aziendale in ambito storytelling -, abbiamo iniziato così a condividere i nostri pensieri. La prima domanda che ci faceva il social era: “A cosa stai pensando?”. L’idea di condividere la propria vita con il mondo mettendoci la faccia è di Facebook. Abbiamo avuto i famosi 15 minuti di notorietà, qualcuno magari anche qualcosa in più. Tutti i social nati dopo sono figli di questa piattaforma, il cambiamento è iniziato così». «Quando le aziende hanno scoperto Facebook ci sono arrivate per promuoversi, ma all’inizio con un linguaggio sbagliato. Ha avuto successo chi invece si è adattato e ha capito. Per le imprese è stata una grande possibilità, per Facebook si è aperta un’autostrada, quella degli inserzionisti, tanto da costruire un impero».
E tanto da cambiare la vita di tutti.

Facebook oggi compie vent’anni eppure già si sente boomer. Ma era ed è «una piattaforma - citando Zerocalcare - serve a scrivere coatte che nella vita vera non avresti mai il coraggio di ripetere in faccia alla gente».

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