Revisione del Pnrr, la rivolta delle Regioni: «Sanità, 700 milioni in meno»

La revisione voluta dal Governo riguarda 143 misure e si accompagna a un taglio dei fondi destinati a progetti sanitari. La Puglia protesta: «A rischio appalti già in corso per 150 milioni».

Revisione del Pnrr, la rivolta delle Regioni: «Sanità, 700 milioni in meno»
di Paola ANCORA
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Mercoledì 13 Marzo 2024, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 14 Marzo, 07:21

Poca trasparenza, molti dubbi sulla reale disponibilità di risorse per finanziare le misure del Pnrr relative alla sanità, complessi iter di trasferimento di fondi da un canale all'altro – fra tutti quelli disponibili – senza alcuna garanzia per il Sud e per le politiche di coesione e di recupero dei gap territoriali esistenti. Il decreto di revisione del Piano nazionale di ripresa e resilienza fortemente voluto dal Governo è ora all'esame del Parlamento per la conversione in legge, ma le polemiche – che pure hanno segnato la fase di messa a punto e presentazione della rimodulazione – non si placano. Anzi.

In particolare sono le Regioni, oggi, ad alzare la voce, a causa del taglio da 700 milioni operato al Fondo complementare al Pnrr. Si tratta di milioni già stanziati per progetti inseriti nel Piano nazionale di ripresa e resilienza e, al momento, rimasti senza copertura: in particolare, sono stati cancellati 500 milioni destinati al programma “Verso un ospedale sicuro e sostenibile”, 132 milioni del programma “Ecosistema innovativo della salute” e fondi per altre voci, di minore consistenza. Gli assessorati regionali alla Salute lavorano alla stesura di un documento comune per lanciare l'allarme: il Pnrr sanitario rischia di andare a sbattere. E l'esempio concreto, al tavolo del Governo, lo porta la Puglia. Perché se l'Esecutivo ha proposto di reperire i soldi mancanti dal cosiddetto “articolo 20”, cioè dal Fondo destinato all'edilizia ospedaliera e creato, ad hoc, negli anni Ottanta, la Regione Puglia ha fatto presente di aver già impegnato le risorse dell'“articolo 20” per la costruzione di nuovi ospedali, aggiungendo di avere - per progetti afferenti al Pnrr – appalti in corso per 150 milioni già finanziati con le risorse ora non più disponibili del Fondo complementare. Non solo. Entro l’8 aprile potrebbe essere compiuto un nuovo taglio, con il definanziamento di altri interventi in programma: la decisione verrà presa a valle del monitoraggio effettuato dalle Regioni.

I dati, le misure

La revisione del Pnrr, insomma, è stata ampia e incisiva: ha coinvolto, infatti, 145 misure, fra quelle modificate e di nuova introduzione che hanno ottenuto l’approvazione della Commissione europea, cambiando le fondamenta del Piano. Infatti - come hanno certificato l’Ufficio parlamentare di Bilancio e più tardi anche la Svimez - la scelta del Governo è stata quella di incrementare i sussidi a favore delle imprese per oltre 11 miliardi di euro, riducendo contestualmente gli investimenti pubblici in infrastrutture. E questo anche per oggettive difficoltà di rispetto dei tempi di spesa delle risorse disponibili.

Fra gli aiuti alle imprese, particolarmente significativa è la misura dei crediti d’imposta destinanti all’efficientamento energetico nell’ambito della misura Transizione 5.0. «Si tratta di un intervento estremamente ampio di politica industriale - riflette l’economista Gianfranco Viesti, nella memoria predisposta per l’audizione in Commissione Bilancio alla Camera - su cui è lecito nutrire qualche dubbio, perché certamente può favorire l’efficientamento energetico dell’attuale tessuto produttivo; e tuttavia non interviene a modificarlo: né a favorire processi di crescita dimensionale delle imprese, né tantomeno a sviluppare quelle nuove filiere produttive legate alla transizione verde (dalle batterie alla componentistica e alle apparecchiature per le energie rinnovabili) fortemente auspicate dalla Commissione Europea e che costituiscono il contenuto privilegiato del grande programma di politica industriale messo in atto negli Stati Uniti (Inflation Reduction Act). Può determinare, invece, una significativa, maggiore, concentrazione territoriale dell’industria italiana».

Nella sua relazione, Viesti evidenzia la necessità di rendere al più presto disponibile «un documento ufficiale che fornisca una sistematica comparazione del Piano originario e di quello risultante dal processo di revisione, con misure, importi, target e scadenze». Perché la revisione del Pnrr «è un intervento di grandissima rilevanza», che non solo vale una cifra rilevantissima, ovvero poco meno di 13 miliardi di euro, ma si accompagna ai tagli al Fondo complementare, ai fondi ordinari dei Ministeri, a un prelievo da 6,6 miliardi dal Fondo Sviluppo e Coesione (Fsc). «Il Governo - chiude l’economista dell’Università di Bari - ha in parte trovato le risorse per finanziare i progetti esclusi dal Pnrr, ma questo sta avvenendo e rischia di concretizzarsi anche nel prossimo futuro eliminando ulteriori programmi di investimento pubblico dal Fondo nazionale complementare. Una specie di catena di Sant'Antonio. Sarà indispensabile verificare quali investimenti alla fine saranno davvero esclusi e soprattutto se si riuscirà a garantire, in questa nuova versione del Piano» il rispetto dell'allocazione territoriale del 40% di risorse per il Mezzogiorno».