Ex Ilva di Taranto, lo Stato verso la maggioranza di Acciaierie d'Italia

Una recente protesta dei lavoratori del siderurgico di Taranto a Roma
Una recente protesta dei lavoratori del siderurgico di Taranto a Roma
di Domenico PALMIOTTI
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Sabato 6 Gennaio 2024, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 7 Gennaio, 11:30

C’è voluto esattamente un anno per rendere fattibile la possibilità di portare lo Stato in maggioranza in Acciaierie d’Italia - l'ex Ilva di Taranto -  dove il ruolo leader ora lo esercita il privato Mittal. Non è ancora ufficiale questa salita, perché bisognerà attendere l’incontro di lunedì prossimo tra i ministri e probabilmente Aditya Mittal, ceo di ArcelorMittal e figlio del capo Lakshmi, ma la strada comincia ad aprirsi dopo l’incontro dell’altro ieri tra l’ad di Invitalia, Bernardo Mattarella (la società pubblica partner di minoranza di Acciaierie) e Ondra Otradovec, manager di punta di Mittal. E anche ieri si è lavorato al dossier in vista di lunedì.

Cosa farà il Governo

Il primo passo fondamentale che farà lo Stato è quello di convertire in capitale i 680 milioni erogati da Invitalia mesi addietro. Inoltre si dovrà affrontare la ricapitalizzazione per gli ulteriori 320 milioni e bisognerà vedere come avverrà. Se rispecchierà i nuovi rapporti societari, cioè il pubblico in maggioranza, oppure Mittal lascerà fare solo allo Stato. Attualmente in Acciaierie Mittal detiene il 62 per cento e Invitalia il 32.

Ma questi sono solo i preliminari in quanto poi c’è da fare tutto il resto. Che non è poco, come vedremo. 

Un anno fa


Ma perché c’è voluto un anno? Era il 5 gennaio 2023 quando sulla “Gazzetta Ufficiale” venne pubblicato il decreto 2 che il Governo aveva approvato il 28 dicembre 2022 e che poi diverrà la legge 17 del 3 marzo (“Misure urgenti per impianti di interesse strategico nazionale”). Se adesso lo Stato si accinge a salire in maggioranza - ma sul fronte Governo si mantiene cautela perché prima si vuole vedere cosa dirà Mittal - le basi sono state poste un anno fa. Prova ne è che dopo il Consiglio dei ministri di fine 2022, il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, dichiarò il 2 gennaio in un’intervista a Quotidiano: «Abbiamo raggiunto un accordo con ArcelorMittal che prevede la possibilità di utilizzare le risorse finanziarie, già previste come finanziamento soci, trasformabili anche prima del 2024 in quota capitale su semplice richiesta di Invitalia». A questo passo del Governo, ne è seguito un altro in estate col dl “Salva Infrazioni” che ha posto le basi per il trasferimento dell’azienda dall’amministrazione straordinaria all’acquirente e la sua continuità produttiva anche in presenza di sequestro e confisca, come è appunto il caso dell’ex Ilva. Riavvolgendo il nastro degli ultimi mesi, va detto che il ministro Urso, pur sottolineando che lo Stato poteva andare in maggioranza in Acciaierie, ha sempre auspicato un segnale concreto da Mittal. Un piano di ripartenza dell’azienda che soddisfasse le aspettative del Governo a partire dalla decarbonizzazione produttiva. Ma l’attesa è stata vana, tant’è che i sindacati, che pure già a gennaio scorso avevano chiesto allo Stato di accelerare il passaggio al 60 per cento, è da mesi che chiedono il ribaltamento dei ruoli nella società. 

Il memorandum


A ottobre, quando è venuto fuori che il ministro Raffaele Fitto, all’insaputa di Invitalia, aveva firmato con Acciaierie e Mittal un memorandum, che prevedeva di proseguire il co-investimento, nonché impegni reciproci (il pubblici avrebbe garantito 2,2 miliardi), è sembrato che l’ipotesi Stato in maggioranza fosse stata messa da parte. Invece ora si torna sulla pista originaria, avendo preso ulteriormente atto che nessuna risposta è giunta nel frattempo da Mittal. Anche se resta da capire la ratio che avrebbe portato Ondra Otradovec a mostrarsi consenziente sullo Stato maggioritario quando quattro mesi fa, col memorandum, era sembrato propenso ad un percorso diverso. 

I nodi da sciogliere


Lo Stato in maggioranza, seppure a tempo, in attesa di trovare altri privati, se va nella direzione ormai auspicata da quasi tutti, pone tuttavia degli interrogativi che nei prossimi mesi occorrerà cominciare a sciogliere. Il primo: bisognerà trovare i 5 miliardi stimati in un arco pluriennale per fare elettrificazione, decarbonizzazione e riconversione della fabbrica. Il secondo: Acciaierie ha fatto gli investimenti ambientali, ma gli impianti in che stato si trovano? Non è banale ricordare che Arpa Puglia nelle sue ispezioni li ha definiti ammalorati, cioè in rovina. Il terzo: il piano industriale, ovvero come far risalire la produzione, in quanto tempo e con quali obiettivi? E ancora, l’occupazione. Si parla di soldi da mettere e di governance, ma i posti di lavoro? Quanti saranno? Il tema per ora non emerge, ma si sa che una tonnellata di acciaio da forno elettrico richiede molta meno gente rispetto ad una tonnellate da altoforno. Vi sono poi altri interrogativi, a partire dalla governance. È chiaro che se lo Stato prende la cloche del comando, dovrà esprimere il nuovo amministratore delegato, ma occorrerà anche ricostruire una linea di comando all’altezza della sfida da affrontare. E non è un aspetto secondario. Come non sono secondari la ricostruzione di un rapporto normale con l’indotto, le istituzioni e la città cercando di buttarsi alle spalle gli strappi e le tensioni di questi anni. 

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