Gli errori di una Regione che non programma le infrastrutture

di Tomaso PATARNELLO
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Giovedì 16 Agosto 2018, 01:00
I turisti scappano dal Salento e il dibattito per identificare cause e responsabilità divampa. Più o meno tutti i commenti puntano il dito contro l'offerta mordi-e-fuggi, di scarsa qualità, mirata solo al profitto immediato senza investimenti strategici di medio e lungo periodo per migliorare i servizi.
Tutto vero perché senza strade decenti, trasporti pubblici che funzionano, senza rete telefonica, senza internet e senza tutti quei servizi che rendono un luogo di villeggiatura accogliente il turista viene una volta, forse due ma poi non torna più. Ma chi dovrebbe (o avrebbe dovuto) occuparsi di tutto questo? La risposta è ovvia: le amministrazioni locali. Oggi Regioni e Comuni (non parliamo delle Province) hanno problemi di bilancio tali da rendere difficile se non impossibile pensare a quegli investimenti in infrastrutture che andavano fatti molti anni fa, quando i soldi c'erano. Parlarne ora è troppo tardi.
Isaia Sales nel suo articolo sul Quotidiano di venerdì 10 agosto ci ricorda che le Regioni sono prossime a compiere 50 anni. Nel tempo le Regioni hanno acquisito sempre più autonomia finanziaria culminata con la revisione nel 2001 del Titolo V della Costituzione che assegna loro la gestione delle così dette materie concorrenti, materie non più di esclusiva prerogativa dello Stato centrale. Questo ha fatto lievitare i bilanci regionali e, spesso, gli sprechi di denaro pubblico.
Non sono un economista ma basta documentarsi un po' per capire che le Regioni sono state tra i principali centri di spesa inefficiente contribuendo in modo sostanziale al debito pubblico nazionale. Uno studio della Confcommercio di un paio di anni fa aveva stimato che dei circa 176 miliardi/anno che costituiscono la spesa delle Regioni se ne potrebbero tagliare ben 71 senza ridurre la quantità dei servizi ai cittadini. Il calcolo è basato sullo stesso criterio dei costi standard di cui si è molto parlato per la sanità e cioè - per fare il classico esempio della siringa - se una siringa costa 1 centesimo in una certa Regione, perché deve costare 10 in un'altra? I 9 centesimi di differenza sono sprechi, inefficienze e, spesso, corruzione. Riportando questo esempio ai beni e servizi forniti dalle Regioni - per un totale di 19 indicatori - i risultati dello studio sono, purtroppo, impietosi. Le regioni del Nord sono più efficienti e virtuose di quelle del Sud, nessuna esclusa. Per dare un'idea delle cifre di cui stiamo parlando, in Lombardia la spesa pro capite per i 19 beni e servizi considerati è di 2.579 euro. Nelle regioni del Sud, in media, è di 4.458 euro.
Le Regioni sono nate nel 1970. In 10 anni, dal 1970 al 1980, il rapporto debito/PIL italiano è passato dal 40,7% al 58,0 %. Negli '80, anche grazie all'Italia da bere di Craxiana memoria, il debito pubblico è quasi raddoppiato arrivando al 94,8% del PIL. Ma Il vero boom di spesa delle Regioni è arrivato con la revisione del Titolo V della Costituzione che ha ceduto alle Regioni competenze (e relativa capacità di spesa) in materie fondamentali come la sanità. Il fatto che i servizi ai cittadini venissero gestiti a livello locale e non più da Roma aveva una sua logica. In questo modo la politica poteva raccogliere più da vicino le esigenze del territorio. Nei circa 15 anni di spesa delegata alle Regioni (dal 2001 ad oggi) il debito pubblico nazionale è passato da 1.620 miliardi (il 108% del PIL) a 2.160 miliardi (133% del PIL).
Le spese delle Regioni concorrono a comporre l'insieme del debito pubblico dello Sato. Il contributo al buco di bilancio è però diverso da Regione a Regione. Emilia-Romagna, Veneto, Toscana, Marche e Piemonte hanno un debito/PIL intorno all'80%, migliore di quello tedesco. Tutte le Regioni del Sud hanno un debito/PIL nell'intorno del 230% (Puglia compresa) con punte del 300% (Calabria). Non prendo questi numeri come oro colato perché sono condizionati da molti fattori a cominciare dalle grandi differenze di ricchezza (PIL) tra Nord e Sud. Sono però anche indicativi dell'inefficienza storia delle spesa nelle Regioni meridionali. Come faceva notare Isaia Sales nel suo articolo, è la natura stessa della spesa regionale e le sue finalità che hanno contribuito ad approfondire le differenze. Le Regioni del Nord hanno investito in servizi sociali e civili (ospedali, asili nido) ed infrastrutture (strade, treni, comunicazione) che hanno offerto al tessuto produttivo gli strumenti per crescere. Le Regioni del Sud, invece, hanno commesso il grave errore strategico di voler inseguire (per usare le parole di Sales) fantasiosi e velleitari programmi di sviluppo regionali, privilegiando politiche regionali di occupazione spesso fallimentari (e quasi sempre clientelari) trascurando gli investimenti in infrastrutture e servizi. Quelle infrastrutture e quei servizi che oggi mancano in Salento e senza i quali i turisti difficilmente torneranno.
Usando come argomento il grande divario nella qualità della spesa pubblica regionale, Il Veneto si è spinto a chiedere la gestione in proprio ben 23 materie concorrenti trattenendo 9/10 della fiscalità regionale per finanziarle. Lombardia ed Emilia-Romagna seguono a ruota. Vista la congiuntura politica favorevole alla realizzazione delle autonomie con una Ministra per gli Affari Regionali e le Autonomie (Mirka Stefani) veneta e fervente leghista è molto probabile che l'operazione vada in porto. La Puglia di Emiliano vuole seguire l'esempio del Veneto e negoziare con Roma una maggiore autonomia. Se questo significherà più assunzione di responsabilità della politica regionale e un cambiamento di rotta nella realizzazione - anche in Salento - di quegli investimenti in infrastrutture mai fatti fino ad ora, bene. Se la Puglia si fermerà ancora una volta a Bari come è stato per l'elettrificazione della linea ferroviaria o il doppio binario per i treni veloci, allora non sarebbe così assurdo ripensare l'organizzazione amministrativa del territorio magari tornando all'idea del Grande Salento.
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