L'antimafia e la bufera su Bari/ L'importanza di recuperare l'equilibrio

Decaro ed Emiliano alla manifestazione di piazza a Bari
Decaro ed Emiliano alla manifestazione di piazza a Bari
di ​Rosario TORNESELLO
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Lunedì 25 Marzo 2024, 11:14 - Ultimo aggiornamento: 17:48

La settimana più surreale degli ultimi anni finisce – giustamente – nel modo più paradossale: la ridda di polemiche su un episodio raccontato (o riportato, oppure ricordato) male e interpretato peggio. Così su Bari, dopo l’aneddoto dell’incontro-scontro del duo Emiliano-Decaro con il clan Capriati, si addensano nuove nubi, anche queste minacciose. Con corredo di richieste – come sempre in questi casi, qui con sfumature iperboliche e apocalittiche – variamente posizionate tra la richiesta di scioglimento del consiglio comunale e l’audizione "punitiva" in commissione antimafia dei protagonisti.

È evidente che una campagna elettorale di questo tipo lascerà sul campo solo macerie. E siamo solo all’inizio. Il centrosinistra sceglierà tra due settimane, con primarie, il proprio candidato. Il centrodestra aspetta ancora che da Roma, quando ormai manca poco più di un mese alla consegna delle liste, arrivi la designazione giusta. Nel frattempo, lo scontro è sulle ipotetiche infiltrazioni mafiose in Comune ipotizzate dalla Procura, sia per quanto accaduto in Amtab, l’azienda dei trasporti ora costretta all’amministrazione giudiziaria, sia per i sospetti di un perverso voto di scambio politico-mafioso ordito – secondo l’accusa – da una consigliera comunale eletta col centrodestra e trasmigrata nel centrosinistra.

Con tutto quel che significa in termini di selezione della classe dirigente e di rigetto della pratica – diffusa, va detto – del trasformismo spinto, ancor più nella stagione del civismo (meglio: cinismo) eletto a sistema.

Il caso Bari, per la quantità degli elementi di indagine e per il livello delle contestazioni mosse, avrebbe per converso richiesto profili più bassi: maggior riserbo, nel rispetto dei ruoli e delle prerogative. L’approssimarsi della scadenza elettorale di giugno ha esacerbato gli animi, solleticato propositi di rivalsa e inasprito i toni del confronto. Le conseguenze sono evidenti nella carrellata, in parole e immagini, di un modo singolare di affrontare la questione. Tutto col sovrappiù di una legge (quella sull’iter per lo scioglimento dei consigli comunali) che attribuisce margini troppo ampi di discrezionalità e impone tempi ristretti per una decisione di ordine amministrativo, non di rado (e forse non a caso) smentita dagli accertamenti giudiziari in sede penale.

In un paese normale (ammesso che l’espressione abbia un senso), i rappresentanti delle istituzioni non accorrono dal ministero degli Interni – a maggior ragione se della stessa area politica – per chiedere l’azzeramento di un’assemblea elettiva pochi giorni dopo una retata antimafia. Così come un sindaco, ancor più se stimato anche nella sua qualità di presidente di tutti i sindaci d'Italia, non scende sullo stesso terreno parlando – in modo ancor più iperbolico e apocalittico – di «atto di guerra» da parte di un governo che, con evidente solerzia, accoglie la richiesta di cui sopra e prontamente preannuncia l'invio in Comune di una commissione prefettizia di valutazione. Non si dovrebbe fare. Eppure è successo. La manifestazione di piazza a sostegno di Decaro, con una folla di manifestanti riunita a sostegno del sindaco, è l’inevitabile deflagrazione di un innesco perverso.

Giunti a questo punto, non è più neppure importante stare a discutere su chi o cosa alla fine beneficerà di questa girandola impazzita di passi falsi e sgarbi istituzionali. Lo decideranno gli elettori tra poche settimane. L’importante è recuperare il senso della misura, dell’equilibrio. E ritrovare lo spirito profondo di un garantismo, così tanto invocato ieri a destra e oggi a sinistra, che deve poter agire sempre e comunque e non a fasi alterne, secondo convenienza. Nessuno si sogna di correre in Procura per invocare a gran voce l'esecuzione di arresti. Allo stesso modo, nessuno deve tirare per la giacchetta il Viminale, chiedendo sanzioni esemplari. In una democrazia matura (anche qui, ammesso che l’espressione significhi qualcosa) si attende che ognuno faccia il suo lavoro e adempia il proprio dovere. Con disciplina e onore. I requisiti primi richiesti a tutti i titolari di funzioni pubbliche. Nessuno escluso. 
 

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