La questione delicatissima dell'ipotetico scioglimento di un consiglio comunale a causa di ingerenze e infiltrazioni della criminalità organizzata è argomento scottante che diventa esplosivo se affidato ai toni accesi e iperbolici di una campagna elettorale già tesa per altre dinamiche, alcune locali, altre nazionali. Il caso Bari rischia così di mettere ancor più in evidenza limiti e criticità di una legislazione partita – anche questa – sull'onda dell'emergenza dopo una strage, il venerdì nero di Taurianova (3 maggio 1991). Il ministro Piantedosi ha autorizzato l'ispezione dei commissari prefettizi in Comune: un accesso per la verifica dei fatti, la spiegazione. Il sindaco Decaro replica con parole di fuoco: un atto di guerra. Chi ha ragione? Chi torto? La premessa è dirimente: dopo inchieste come quella che ha sconvolto il capoluogo, con il sospetto di intrecci tra politica e clan (eclatanti nei fatti e tuttavia limitati a pochi soggetti) e di condizionamenti mafiosi nella società municipalizzata dei trasporti pubblici, è possibile che si arrivi ad una verifica di questo tipo. Sono scattati arresti eccellenti, l’azienda coinvolta è finita in amministrazione giudiziaria. In situazioni analoghe, questa è stata l'evoluzione naturale. Anche se non sempre, va aggiunto.
Probabilmente al di fuori di una campagna elettorale importante come la prossima a Bari, su cui convergono differenti interessi e in cui si giocano diversi destini, personali e di schieramento, motivo per cui le fibrillazioni si alternano ai veleni, al di fuori di questo – dicevo – l'arrivo della commissione prefettizia non avrebbe scatenato una simile contesa, trasformando il capoluogo di regione nell'ultimo avamposto di una lotta infinita, quasi fosse l'Armageddon.
Dov'è il punto di attrito? Nelle contraddizioni evidenti. Ha ragione Decaro: se il sospetto è che questa amministrazione presti il fianco alla criminalità, allora rinuncio alla scorta assegnatami proprio per il mio impegno antimafia (andrebbero aggiunti elogi e ringraziamenti del procuratore Rossi verso il Comune e il suo massimo esponente nella conferenza stampa successiva al blitz). E in un certo senso Decaro ha ragione anche quando sostiene che il vero nemico è il trasformismo politico, se non fosse che in questa vicenda ha colpito trasversalmente: l'esponente politica su cui convergono le accuse per voto di scambio, sebbene eletta col centrodestra, è poi approdata nello schieramento di centrosinistra collegato proprio al sindaco in carica. Ma ha ragione anche Fratelli d'Italia quando in una nota sostiene che il problema, semmai, è nella normativa: "Diversi Comuni in Puglia sono stati commissariati per molto meno". Cosa vera. E proprio per questo di gravità inaudita.
Ecco: l'istituto giuridico in questione ha natura amministrativa e non penalistica, con ampi profili di discrezionalità da esercitare in tempi ristretti. Gli elementi su cui fondare la valutazione per l'eventuale scioglimento di un consiglio comunale devono essere univoci, concreti e rilevanti: aggettivi vaghi. Contro la decisione finale si può ricorrere al giudice amministrativo, ma a quel punto il danno – materiale e d'immagine – sarebbe anche doppio. In Puglia nel corso degli anni, dal 1991 ad oggi, il provvedimento ha colpito 29 amministrazioni. In alcuni casi (tra i più recenti e paradossali: Ostuni) senza neppure un'inchiesta giudiziaria a fondamento. Con l'operazione Mafia Capitale, a Roma, si è introdotto un punto di mediazione: tra sciogliere e non sciogliere, di fronte a coinvolgimenti che fanno impallidire l'inchiesta di Bari, si è preferito colpire chirurgicamente, mandando a casa solo una municipalità, quella della frazione di Ostia. La normativa è ampiamente perfettibile. Come quella sulle interdittive antimafia, destinata alle imprese: numerosi e di rilievo i disastri compiuti nel corso degli anni, al di là delle buone intenzioni, prima di porvi parziale rimedio con la riforma varata dal governo Draghi nel 2022: ora occorre sentire anche le ragioni dell'imprenditore sotto osservazione prima di decidere se procedere o meno con l'amministrazione controllata. Dettaglio non proprio irrilevante, ma tuttora non previsto per il destino dei Comuni, dei loro amministratori e dei loro amministrati.
Non è il caso di dire "hanno tutti ragione", perché è evidente che così non è. Ma l’affaire Bari, la tempistica dell'iniziativa, le modalità con cui è stata sollecitata a gran voce da una parte politica, la concomitanza con l'imminente scadenza elettorale, le contraddizioni palesi, gli interessi evidenti, ecco: tutto porta a dire che abbiamo un problema. Ed essendo in ballo da una parte la lotta alla criminalità organizzata, da un'altra la trasparenza e la correttezza della pubblica amministrazione e da un'altra ancora lo stigma per intere comunità, non è un problema da poco. L'occasione è gradita – o sgradita, a seconda dei punti di vista – per rivedere passaggi fondamentali della legge.