Il caso Bari e l'ispezione antimafia/ L'opzione legittima di una legge da rivedere

La normativa sullo scioglimento del Consiglio comunale e la bufera sul via libera al lavoro della commissione: cosa va e cosa non va

Il sindaco di Bari Antonio Decaro durante la conferenza stampa
Il sindaco di Bari Antonio Decaro durante la conferenza stampa
di ​Rosario TORNESELLO
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Giovedì 21 Marzo 2024, 14:21 - Ultimo aggiornamento: 16:28

La questione delicatissima dell'ipotetico scioglimento di un consiglio comunale a causa di ingerenze e infiltrazioni della criminalità organizzata è argomento scottante che diventa esplosivo se affidato ai toni accesi e iperbolici di una campagna elettorale già tesa per altre dinamiche, alcune locali, altre nazionali. Il caso Bari rischia così di mettere ancor più in evidenza limiti e criticità di una legislazione partita – anche questa – sull'onda dell'emergenza dopo una strage, il venerdì nero di Taurianova (3 maggio 1991). Il ministro Piantedosi ha autorizzato l'ispezione dei commissari prefettizi in Comune: un accesso per la verifica dei fatti, la spiegazione. Il sindaco Decaro replica con parole di fuoco: un atto di guerra. Chi ha ragione? Chi torto? La premessa è dirimente: dopo inchieste come quella che ha sconvolto il capoluogo, con il sospetto di intrecci tra politica e clan (eclatanti nei fatti e tuttavia limitati a pochi soggetti) e di condizionamenti mafiosi nella società municipalizzata dei trasporti pubblici, è possibile che si arrivi ad una verifica di questo tipo. Sono scattati arresti eccellenti, l’azienda coinvolta è finita in amministrazione giudiziaria. In situazioni analoghe, questa è stata l'evoluzione naturale. Anche se non sempre, va aggiunto.

Probabilmente al di fuori di una campagna elettorale importante come la prossima a Bari, su cui convergono differenti interessi e in cui si giocano diversi destini, personali e di schieramento, motivo per cui le fibrillazioni si alternano ai veleni, al di fuori di questo – dicevo – l'arrivo della commissione prefettizia non avrebbe scatenato una simile contesa, trasformando il capoluogo di regione nell'ultimo avamposto di una lotta infinita, quasi fosse l'Armageddon.

Il contesto e le imminenti scadenze elettorali hanno invece determinato un'accelerazione che rischia di travolgere tutti e bruciare un importante e costante lavoro di recupero del tessuto sociale e di rilancio dell'immagine di una città dal passato per alcuni aspetti oltremodo complicato. Molto si è fatto, molto altro c'è da fare, ma le cartoline che arrivano da Bari, pur tra difficoltà e rigurgiti di criminalità, tratteggiano una città moderna, dinamica, attraente e attrattiva in varie forme.

Dov'è il punto di attrito? Nelle contraddizioni evidenti. Ha ragione Decaro: se il sospetto è che questa amministrazione presti il fianco alla criminalità, allora rinuncio alla scorta assegnatami proprio per il mio impegno antimafia (andrebbero aggiunti elogi e ringraziamenti del procuratore Rossi verso il Comune e il suo massimo esponente nella conferenza stampa successiva al blitz). E in un certo senso Decaro ha ragione anche quando sostiene che il vero nemico è il trasformismo politico, se non fosse che in questa vicenda ha colpito trasversalmente: l'esponente politica su cui convergono le accuse per voto di scambio, sebbene eletta col centrodestra, è poi approdata nello schieramento di centrosinistra collegato proprio al sindaco in carica. Ma ha ragione anche Fratelli d'Italia quando in una nota sostiene che il problema, semmai, è nella normativa: "Diversi Comuni in Puglia sono stati commissariati per molto meno". Cosa vera. E proprio per questo di gravità inaudita.

Ecco: l'istituto giuridico in questione ha natura amministrativa e non penalistica, con ampi profili di discrezionalità da esercitare in tempi ristretti. Gli elementi su cui fondare la valutazione per l'eventuale scioglimento di un consiglio comunale devono essere univoci, concreti e rilevanti: aggettivi vaghi. Contro la decisione finale si può ricorrere al giudice amministrativo, ma a quel punto il danno – materiale e d'immagine – sarebbe anche doppio. In Puglia nel corso degli anni, dal 1991 ad oggi, il provvedimento ha colpito 29 amministrazioni. In alcuni casi (tra i più recenti e paradossali: Ostuni) senza neppure un'inchiesta giudiziaria a fondamento. Con l'operazione Mafia Capitale, a Roma, si è introdotto un punto di mediazione: tra sciogliere e non sciogliere, di fronte a coinvolgimenti che fanno impallidire l'inchiesta di Bari, si è preferito colpire chirurgicamente, mandando a casa solo una municipalità, quella della frazione di Ostia. La normativa è ampiamente perfettibile. Come quella sulle interdittive antimafia, destinata alle imprese: numerosi e di rilievo i disastri compiuti nel corso degli anni, al di là delle buone intenzioni, prima di porvi parziale rimedio con la riforma varata dal governo Draghi nel 2022: ora occorre sentire anche le ragioni dell'imprenditore sotto osservazione prima di decidere se procedere o meno con l'amministrazione controllata. Dettaglio non proprio irrilevante, ma tuttora non previsto per il destino dei Comuni, dei loro amministratori e dei loro amministrati.

Non è il caso di dire "hanno tutti ragione", perché è evidente che così non è. Ma l’affaire Bari, la tempistica dell'iniziativa, le modalità con cui è stata sollecitata a gran voce da una parte politica, la concomitanza con l'imminente scadenza elettorale, le contraddizioni palesi, gli interessi evidenti, ecco: tutto porta a dire che abbiamo un problema. Ed essendo in ballo da una parte la lotta alla criminalità organizzata, da un'altra la trasparenza e la correttezza della pubblica amministrazione e da un'altra ancora lo stigma per intere comunità, non è un problema da poco. L'occasione è gradita – o sgradita, a seconda dei punti di vista – per rivedere passaggi fondamentali della legge.
 

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