Dal Lingotto il compromesso convincente che ridà la scena all’ex premier

Dal Lingotto il compromesso convincente che ridà la scena all’ex premier
di Mauro CALISE
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Lunedì 13 Marzo 2017, 16:27
Ci voleva una prova di forza, ed è arrivata. Dopo tre mesi di graticola per l’ex-premier ed ex-segretario, e dopo l’assalto degli scissionisti decisi a far saltare il partito di cui si sentivano espropriati, al Lingotto si è visto un Pd ancora in campo, e in corsa. E schierato in forza col suo leader. Vedremo nel prossimo mese quanto contano davvero gli avversari interni, quanto riescono a mordere sulla scena nazionale. Ma nella tre giorni torinese si è capito che non sarà facile insidiare la popolarità che Renzi si è conquistato, e la sua intatta volontà di parlare al paese. Senza rinchiudersi nel recinto storico del centrosinistra. E, al tempo stesso, facendo tesoro dell’errore principale della sua prima stagione, l’essersi assunto incondiziatamente tutte le responsabilità e le decisioni. Con quell’immagine di uomo solo al comando che è stata usata dai suoi nemici, abilmente, nella battaglia referendaria per insinuare la paura di una deriva autoritaria.

Ciò che, invece, ha colpito al Lingotto è stato lo schieramento, al suo fianco, di un parterre di ministri e di tecnici che hanno restituito al Pd la solidità e pluralità che – giustamente – può rivendicare rispetto agli altri partiti. Tutti, in un modo o nell’altro, riconducibili a un padre-padrone – che si tratti di Grillo o di Salvini o del fantasma di Berlusconi – in cui si identificano e dal quale dipendono in toto. Renzi è riuscito – almeno per il momento – a sottrarsi a questa trappola, al cul-de-sac del partito personale in cui Bersani & co. hanno cercato di infilarlo e schiacciarlo. Quello che esce dal Lingotto è il leader di un partito che resiste – unico nel panorama italiano – come organizzazione strutturata sul territorio, e con una classe dirigente ben visibile ed autorevole. Certo, nessuno si illude che la forza, la marcia in più e anche la direzione di marcia non dipendano – anche oggi - dall’ex-premier. E, tra i tutti i big che hanno sfilato sul palcoscenico, il ministro Minniti è stato quello che lo ha detto fuori dai denti. Dopo la ritrovata liturgia del noi al posto dell’io, è sempre Renzi quello che farà – se potrà – la differenza. Un dato che lo stesso ex-segretario ha rivendicato nel finale, con un escamotage retorico in cui ha posto di nuovo l’io – la responsabilità individuale – al centro dell’impegno politico. Ma allargando a tutti i militanti l’invito a farsene carico, con un esplicito richiamo a farsi avanti, a proporsi come nuovi leader.

In questo, resta netta e profonda la linea di demarcazione – culturale prima ancora che politica – con gli scissionisti della ditta, i custodi dei caminetti, del bilancino delle correnti. E della responsabilità collegiale dietro la quale, all’atto pratico, nascondere i rischi di una esposizione personale. Su questa linea, d’ombra e di svolta, Renzi è riuscito, per il momento, a trovare un compromesso convincente. Ma sarà messo alla prova non appena si dovesse passare dalla sfida per la segreteria del partito a una nuova stagione di governo. Nella fase attuale, all’ex-premier può soltanto giovare uno stile meno narcisista e delle scelte più inclusive. Il Renzi 2.0, con più community e più comunità, ha tutto da guadagnare nell’immagine e, forse, anche nel numero dei follower. Tutt’altra storia sarà se – e quando – dopo le elezioni per il rinnovo del parlamento il Pd si dovrà confrontare con lo sconquasso dell’attuale legge elettorale, che non appare modificabile nel suo impianto iperproporzionalistico.

A quel punto non si tratterà più solo di una trasformazione tattica, o comunque limitata ai rapporti col partito. Renzi dovrebbe vestire i panni di tessitore e manovratore di un governo di coalizione. In cui non ci sarebbero soltanto comprimari, come negli ultimi tre anni. Ma altri partner con un peso decisivo a fare andare avanti, o meno, l’esecutivo. Certo, si potrebbe obiettare che in Germania è già così. E che la Merkel ha per tutti questi anni gestito il suo ruolo di super-cancelliera senza che mai gli alleati Spd provassero a farle ombra. Ma l’Italia, si sa, è un altro paese. E se Renzi, come è sembrato in questi giorni, dovesse riuscire a ritrovare un po’ di vento nelle sue vele, diventerà nuovamente il bersaglio principale contro cui combattere. E non è facile prevedere in che misura sarà bravo a giocare a nascondino, invece di tornare ad alzare la cresta e mostrare il petto come il suo temperamento lo ha portato – per sciagura sua e dell’Italia – a fare nel recente passato. Sarà questo il rebus del nuovo show. Che ieri è ripartito, e di cui Renzi resta il protagonista.
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