Rifiuti pericolosi e amianto a Marechiaro: un delitto che risale a quarant'anni fa

Rifiuti pericolosi e amianto a Marechiaro: un delitto che risale a quarant'anni fa
di Francesca RANA
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Martedì 7 Marzo 2023, 07:45


Una falesia artificiale, nata a furia di sversamenti di rifiuti edili in mare, emersa fino a tre metri di altezza dopo l'erosione, a Marechiaro, a San Vito, si sbriciola ancora oggi ad ogni mareggiata e rilascia rifiuti, inerti e, purtroppo cemento amianto e fibre pericolose sulla spiaggia affacciata su Mar Grande. Nel 2020, la Procura della Repubblica ne dispose il sequestro preventivo, ora l'area è ben transennata, i colpevoli di questi sversamenti non si conoscono, tuttavia il primo studio scientifico sul cemento amianto sversato in mare e finito proprio su quel tratto di costa insieme a quantità incredibili di rifiuti edili, iniziato nel 2019 e concluso nel 2022, è stato pubblicato a gennaio 2023 in una rivista scientifica settoriale e sta facendo parlare di sé.

Tra gli autori di una ricerca sul sedimento, attribuita al Dipartimento di Scienze della Terra e Geoambientali di Uniba (Università degli Studi di Bari), intitolata "Sedimentological features of asbestos cement fragments in coastal environments (Taranto, southern Italy)", ci sono ricercatori di Scienze Ambientali di Taranto, sede di Paolo VI: Teresa Fracchiolla, Stefania Lisco, Isabella Lapietra, Rocco Laviano, Giuseppe Mastronuzzi e Massimo Moretti.

L'ultima indagine fatta in questo tratto, quando era accessibile e non interdetto alla frequentazione, racconta il coordinatore di Scienze Ambientali, Massimo Moretti, riguarda la misurazione di volumi di falesia artificiale inquinata a rischio erosione, depositati sulla spiaggia. Essendo alta tre metri, indietreggerà ancora, si distruggerà e inquinerà qualche altro centinaio di metri con detriti di materiale inerte mischiato a mattoni, ceramica, asfalto e, tristemente, cemento amianto.

La ricerca

L'indagine giudiziaria farà il suo corso, intanto, grazie alle "archeolattine", i ricercatori, hanno capito quando è iniziato questo inquinamento: «Siamo riusciti a comprendere - spiega il coordinatore Moretti - quando si è realizzato lo sversamento di materiali nella falesia nel settore più occidentale, con la scogliera. Osservando foto aeree e immagini da satellite, è possibile datare negli anni 80/'90 il gran volume di materiali buttato a mare. Il materiale ha costituito questa falesia. Fu sversato in quegli anni. Erano resti di abbattimenti, case, strade, qualsiasi cosa si possa immaginare. Purtroppo, tutta la parte legata al cemento amianto compare a partire dal 92 con la legge di messa al bando. Aumentarono i costi per smaltirlo, doveva essere mandato in discarica e alcune imprese lo buttarono in mare. C'erano vestiario, pezzi di televisori e siamo riusciti a datare gli strati attraverso le lattine di bibite con la data di produzione e scadenza». Scelsero l'area di ricerca ed indagini (tutte fatte nei propri laboratori di Scienze Ambientali) casualmente, frequentandola, notando materiali non naturali e chiedendosi dove venissero utilizzati e la provenienza.

Il professor Moretti escluderebbe ci siano altre spiagge tarantine in queste condizioni pericolose: «Conosco altre spiagge tarantine - precisa - e sicuramente non hanno lo stesso tipo di problematica. Questo processo di sversamento in mare era diffuso in tutta Italia. Questo è il primo studio a mettere in evidenza la pericolosità. Esistono siti simili a Bagnoli, in Sicilia (non sotto sequestro). Non è un processo conosciuto. Quando abbiamo mandato questo articolo alla rivista era un'assoluta novità. A Bari, segnalammo il cemento amianto a Pane e Pomodoro e Torre Quetta e lo isolarono. Questa volta abbiamo studiato in dettaglio. Ci fu una presentazione in un convegno nel 2021 sui sedimenti inquinati, quando lo studio era incompleto». I materiali diventano più pericolosi quando si spiaggiano e possono essere inalati, non quando sono sott'acqua.
«Se il mare non si fosse sollevato, l'erosione ci sarebbe stata, perché il materiale è stato sversato direttamente in mare ed è stato soggetto ad erosione ad ogni tempesta. In passato, non era mai esistita ed è stata creata con sedimenti inquinati. Non hanno iniziato a fare bonifiche - conclude a quanto so, il Comune di Taranto ha chiesto finanziamenti. Sicuramente, è demanio marittimo. Si sono interessati allo studio solo Comune di Taranto ed Arpa Puglia. Il Comune è stato molto attento. I ricercatori di Scienze Ambientali di Taranto fanno la loro ricerca sul territorio e si occupano del territorio».

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