Crisi di Suez, l’allarme di Confindustria: «Sud, a rischio meccanica, cerealicoltura e moda»

Crisi di Suez, l’allarme di Confindustria: «Sud, a rischio meccanica, cerealicoltura e moda»
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Lunedì 22 Gennaio 2024, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 23 Gennaio, 21:06

Cerealicoltura, meccanica e moda: i conflitti in Medio Oriente rallentano l'economia del Sud Italia e della Puglia, che ha già stimato in circa 300 milioni il volume d'affari messo a rischio dalla crisi nel Mar Rosso. I comparti più esposti agli effetti degli attacchi degli Houthi alle navi commerciali in transito in quel mare, per Confindustria, sono alcuni degli architravi del mondo produttivo pugliese, fra i primi per la produzione di cereali, con un'industria meccanica avanzata e diffusa e un sistema moda che, dal Tarantino al Salento, dà lavoro a centinaia di persone nelle tante imprese che lavorano conto terzi per i grandi brand del lusso.

Se già per oggi è atteso il “sì” politico dell’Unione Europea - il voto vero e proprio arriverà il 19 febbraio - alla missione per proteggere i mercantili diretti in Europa e attaccati dagli Houthi, i ribelli yemeniti finanziati dall’Iran, esperti e addetti ai lavori avvisano: «Sono colpiti soprattutto i comparti che hanno tempi di produzione e di consegna ad alta velocità».

Lo ha confermato Salvio Capasso, capo del Servizio economia, imprese e territorio di Srm, la Società di ricerche e studi sul Mezzogiorno collegata a Intesa Sanpaolo, specificando che «mentre crisi come quella dei chip hanno avuto un impatto molto forte soprattutto sui grandi gruppi industriali del Nord, a partire dalla filiera dell'automotive, in questo caso nel mirino rischiano di finire settori legati a prodotti finiti o semilavorati di più immediata distribuzione, per i quali uno stop prolungato delle consegne può comportare una grossa perdita di fatturato». 


Soltanto nel comparto moda, il contraccolpo della crisi espansiva cui stiamo assistendo in Medio Oriente potrebbe riguardare l'80% del prodotto finito, giacché – registra Bankitalia - «un terzo delle importazioni italiane nella filiera della moda arriva attraverso il Mar Rosso». 
L'aumento dei costi di trasporto, i ritardi nella consegna delle merci e l'andamento altalenante dell'export nazionale e meridionale nel corso dell'intero 2023 non lasciano ben sperare gli addetti ai lavori, tanto più che la domanda interna italiana resta ancora debole, come conferma Davide Tabarelli di Nomisma Energia (l'intervista in basso in questa pagina, ndr), allargando l'analisi del quadro economico dai carburanti all'intero sistema Sud e mettendo a fuoco quello che viene definito «un rallentamento strutturale» dell'economia del Paese. Nelle scorse ore, anche Confindustria ha lanciato il suo allarme su quanto sta accadendo. «I rischi legati ai blocchi dei trasporti nel Mar Rosso rendono non rassicuranti le prospettive per il 2024» scrivono gli industriali, nell'ultimo report del Centro studi di viale dell'Astronomia.

Traffici più che dimezzati

«L'impatto economico del crollo del trasporto marittimo attraverso il Canale di Suez è fortemente condizionato alla sua persistenza: più è prolungato, maggiori saranno gli effetti negativi sul commercio estero italiano e globale». A metà gennaio, spiega il Centro studi, «il traffico di navi nel mar Rosso si è più che dimezzato e il costo di trasporto dei container dall'Asia all'Europa è aumentato del 92 per cento». Le rotte marine sono cruciali: «Il 90 per cento del volume degli scambi globali avviene via mare» e prima della crisi «il 12 per cento transitava per il Canale di Suez». Per l'Italia «il 54% per cento degli scambi è via nave, di cui il 40 per cento tramite Suez; soprattutto, via mare transita più del 90 per cento dei flussi italiani con i principali Paesi a est del Mar Rosso (in Asia e parte del Medio Oriente)». 

Il giro d'affari


Entrando più nel dettaglio dei numeri regionali dietro questa crisi, il volume d’affari delle province pugliesi si concentra principalmente in Egitto, Israele, Giordania, Arabia Saudita, Yemen, Gibuti, Eritrea e Sudan. Secondo il report confezionato dall’Osservatorio Aforisma all’indomani del deflagrare del conflitto, solo nel periodo compreso tra gennaio e settembre 2023 la Puglia ha fatto registrare con questi Paesi importazioni per oltre 143 milioni (dato comunque in calo rispetto ai 171 milioni dello stesso periodo dell’anno precedente), ed esportazioni per 166 milioni (in questo caso invece si è in controtendenza rispetto al 2022: da gennaio a settembre 125 milioni). Totale: oltre 300 milioni. La prima provincia per import-export è Taranto, con 40 e 50 milioni di euro rispettivamente. Tuttavia sul fronte export si impone Bari, con 61 milioni, in aumento rispetto ai 58 milioni dei primi nove mesi del 2022. Un import di 31 milioni si registra per la Bat, di 28 per la provincia di Foggia, di 26 per quella di Brindisi, mentre Lecce sfiora i 5 milioni. Per quanto riguarda l’export, il Brindisino esporta merci e prodotti per 22,5 milioni, il Salento per 16,6 milioni, 9 e 6 milioni rispettivamente la Bat e la provincia dauna. Non resta che attendere e sperare.

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